Alcolismo cronico? Questioni cliniche e giuridiche…
La notizia è di ieri: “Non colpevole perché Ubriaco (cronico), assolto il padre che uccise il figlio“.
Una sentenza di secondo grado ribalta il verdetto di primo grado per cui l’uomo era stato condannato a 30 anni.
Oggi possiamo leggere i commenti di alcuni giuristi che affrontano la questione da un punto di vista giuridico.
Qui l’articolo completo su La Stampa di oggi
Il nocciolo sembra riguardare la distinzione tra ALCOLISTA ABITUALE (fortemente punito dal codice, nell’ambito di una scelta di Politica Criminale, dice l’Avvocato Grosso) e ALCOLISTA CRONICO. Il secondo caso sarebbe non imputabile.
Qui ci interessa assumere un punto di vista clinico e neuropsicologico, ma partiamo dal principio…
Innanzitutto il richiamo al concetto di IMPUTABILITA’: secondo l’art. 85 del Codice Penale “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile” e “è imputabile chi è capace di intendere e di volere”.
E’ subito evidente come le questioni giuridiche si possano intrecciare con le questioni psicologiche e in particolare con la psicologia clinica.
Inoltre, da un punto di vista teorico uno dei presupposti del concetto di PENA riguarda gli aspetti di COAZIONE PSICOLOGICA, per cui l’esistenza di una pena dovrebbe funzionare da DETERRENTE, ma questo vale solo per chi è capace di intendere e di volere! Dunque è il sistema penale stesso che ha tra i suoi presupposti la capacità di intendere e di volere. E’ un elemento davvero fondamentale. E’ chiaro che se la pena perde la sua funzione (e il suo valore) di deterrente occorre predisporre altri metodi capaci di “contenere” il pericolo, e allora entrano in gioco le specifiche strutture citate dall’avvocato (“non resta libero, verrà curato in specifiche strutture“).
E’ chiaro che definire la Capacità di intendere e di volere non è una questione di poco conto ma non è nemmeno semplice. Infatti la definizione della presenza o dell’assenza di questa condizione è cambiato nel tempo: la definizione giuridica si è integrata con scienze non giuridiche come la PSICHIATRIA. E’ possibile distinguere 3 fasi, ciascuna caratterizzata da un diverso approccio. A seconda del paradigma seguito (1, 2 o 3) cambia la nozione di infermità mentale e anche di imputabilità.
- inizialmente si faceva riferimento a una situazione in cui vi fossero specifici substrati organici, ovvero ci si riferiva alla malattia mentale utilizzando i criteri tipici della medicina;
- Successivamente si è assunto un paradigma psicologico considerando una situazione di disequilibrio in cui la realtà interna differiva dalla realtà esterna, includendo così le psicosi (anche transitorie), le nevrosi e i disturbi affettivi, ad esempio;
- oggi prevale un approccio integrato che tenta di includere entrambi i paradigmi precedenti.
Una svolta si è verificata nel 2005 con una sentenza della cassazione (sentenza n.9163 del 2005) che inquadra anche i disturbi di personalità tra i casi di infermità mentale se sono talmente gravi da compromettere la capacità di intendere e di volere.
Ecco, in particolare qui approfondiamo il tema della PSICOSI che si definisce come una perdita di contatto con la realtà, ed è una condizione che può verificarsi per cause tra loro molto diverse. Una di queste cause riguarda l’abuso di alcol.
Da un punto di vista della psicologia clinica, non possiamo entrare nel merito del caso al centro della notizia perché non ne conosciamo i dettagli che lo caratterizzano (così come i giuristi intervistati dicono di non poter entrare nel merito del caso perché non conoscono le motivazioni che stanno alla base della nuova sentenza).
Possiamo però fare riferimento alla letteratura NEUROPSICOLOGICA per capire quali conseguenze ha l’abuso di alcol sul cervello per approfondire la dichiarazione dell’avvocato Grosso: “l’alcol ha talmente inciso sulle cellule cerebrali che gli ha provocato una pazzia derivata“.
Possiamo descrivere in generale gli effetti dell’alcol sul cervello (in caso di abuso e di dipendenza) e in particolare la sindrome di Korsakoff.
L\'ALCOL e le SOSTANZE DEPRESSIVE
Si definiscono depressive tutte le sostanze che rallentano l\’attività del Sistema Nervoso Centrale (SNC). Esse allentano la tensione e le inibizioni e possono interferire con la capacità di giudizio dell\’individuo, l\’attività motoria e la concentrazione.
I tre grandi gruppi di sostanze depressive comprendono l\’alcol, i farmaci sedativi-ipnotici e gli oppiacei.
ABUSO DI ALCOL
In termini generali, nell\’abuso di alcol le presone bevono regolarmente grandi quantità di bevande alcoliche e ricorrono al bere per eseguire azioni che altrimenti le renderebbero ansiose. Alla fine il bere interferisce con le relazioni sociali e con la capacità di penare e lavorare. Questa abitudine può provocare tensioni e frequenti discussioni con familiari e amici, ripetute assenze dal lavoro e anche la perdita del lavoro stesso.
Le neuroimmagini di forti bevitori cronici hanno rivelato danni in diverse aree del cervello e menomazioni a livelli diversi:
- memoria a breve termine
- velocità di pensiero
- capacità di attenzione
- equilibrio.
Inoltre, l\’abuso di alcol nel lungo periodo danneggia gravemente la salute:
- sovraccarica il fegato, tanto che gli alcolisti possono sviluppare una patologia irreversibile detta cirrosi epatica, caratterizzata da necrosi, fibrosi e malfunzionamenti del fegato;
- può danneggiare il cuore;
- può danneggiare la capacità del sistema immunitario di contrastare il cancro e le infezioni batteriche e virali.
L\’abuso di alcol a lungo termine può causare problemi nutrizionali: grazie al suo potere saziante infatti l\’alcol deprime l\’appetito, ma non ha alcun valore nutritivo. Di conseguenza, i bevitori cronici sono malnutriti, deboli e più esposti a contrarre malattie. In questi soggetti si riscontrano spesso carenze vitaminiche che possono causare gravi problemi. La carenza di vitamina B (diammina) correlata all\’uso di alcol, per esempio, può provocare la sindrome di Korsakoff, una condizione patologica caratterizzata da estrema confusione, perdita della memoria e altri sintomi neurologici. Le persone con tale sindrome non riescono a ricordare il passato o ad apprendere nuove informazioni e possono compensare i vuoti di memoria attraverso la confabulazione, cioè l\’invenzione di eventi e ricordi.
Negli individui il modello di abuso di alcol è variabile. Alcuni assumono tutti i giorni grandi quantità di alcol e continuano a bere fino all\’intossicazione. Altri hanno un comportamento periodico di forti ubriacature o bevono molto per settimane o mesi. Possono restare intossicati per giorni e non ricordare nulla di quel periodo. Altri ancora possono limitare l\’assunzione di alcol ai fine settimana o alla sera.
DIPENDENZA DA ALCOL
Per molte persone il modello di uso di alcol comprende la dipendenza. L\’organismo sviluppa una tolleranza all\’alcol e per avvertirne l\’effetto ricercato è necessario bere sempre di più. Quando si smette di bere, si ha una crisi di astinenza. Dopo poche ore
- iniziano i tremori a livello di mani, lingua e palpebre;
- il soggetto si sente debole e ha la nausea, con sudorazione e vomito;
- il battito cardiaco aumenta e la pressione sale.
- Possono subentrare ansia, depressione, insonnia e irritabilità.
[APA – American Psychiatric Association, 2000. DSM-IVTR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Elsevier, Milano, 2001]
Una piccola percentuale degli individui con dipendenza da alcol può esperire una reazione da astinenza particolarmente grave, il delirium tremens (DT). Il soggetto che ne soffre ha delle terrificanti allucinazioni visive che iniziano entro tre giorni dal momento in cui ha smesso di bere o ha ridotto sensibilmente la quantità di alcol. Alcuni vedono animaletti repellenti che li inseguono o strisciano su di loro oppure oggetti che si muovono davanti ai loro occhi. Come nella maggior parte dei sintomi da astinenza da alcol, il DT ha in genere una durata di due o tre giorni. Chi soffre di DT o di altri gravi sintomi da astinenza può avere tuttavia anche conclusioni, perdita di coscienza, può essere colpito da emorragia cerebrale e anche morire.
[R. J. Comer, Psicologia Clinica. Utet 2013. Edizione italiana a cura di Granieri & Rovetto]