“Il piccolo genio ribelle chiamato dal Cern…

… che la scuola bloccò col sette in condotta

è il titolo di un articolo pubblicato ieri su Repubblica e ripreso da numerosi siti di informazioni e blog vari.

Il sottotitolo procede così: Daniele Doronzo, 17 anni, voleva diplomarsi un anno prima. Ma, nonostante la sua carriera liceale, al quarto anno i docenti gli hanno abbassato la media. Il motivo: “Ci sfidava, il nostro compito non è promuovere i talenti ma educarli”

Daniele Doronzo 17 anni, su Repubblica

La ricostruzione della vicenda apre la porta ad alcune riflessioni:

1. Esiste una legge che permette, in alcuni casi, di sostenere la maturità con un anno di anticipo: La norma prevede che per poterlo fare servono tutti otto negli anni precedenti.
Si tratta di una norma poco conosciuta…o almeno se ne parla poco…soprattutto in alcune zone… Cercando informazioni online si trova un “censimento” interessante benchè un po’ datato (2004):  Maturità in anticipo, il record del Sud (leggi tutto…)
Del resto la norma stessa non è recente poichè risale al Regno d’Italia, e più precisamente alla Riforma Gentile del 1923.

2. Tra i 17enni ce n’è almeno uno che dichiara: “La fisica è la mia vita”.
E sempre lui racconta: “Da gennaio  avevo inondato di mail il centro in Svizzera (il Cern ndr) per riuscire a fare uno stage. Formalmente un’esperienza di questo tipo è possibile almeno con tre anni di studi presso un dipartimento universitario di Fisica. Non c’era mai stato nessun italiano della mia età. Avevano letto quello che gli avevo mandato, articoli, studi eccetera ed ero stato accettato. Ma per andarci c’era bisogno del diploma. E così anche per prepararmi al meglio all’ingresso nelle università americane, dove avrei voluto studiare, a gennaio ho avvisato la mia scuola della mia volontà di fare gli esami con un anno di anticipo”.
Sicuramente una simile dichiarazione nei confronti della fisica è qualcosa di inusuale (a 17 anni solitamente le passioni e le dedizioni hanno altri oggetti!) e inusuale è anche l’orizzonte temporale (così esteso) e la programmazioen di un percorso così ben definito e diretto verso comunità di specialisti in una prospettiva di tipo “partecipativo” (box).

3. Tra i professori ce n’è almeno uno che pensa che il compito della scuola non è di promuovere i talenti ma “solo” (ndr) educarli.
E questo punto è quello che stupisce ancora di più dei precedenti.
Sicuramente l’educazione in senso lato è qualcosa che conta, sempre e per chiunque.
Sicuramente la scuola ha il compito di educare ed è bene tenerlo a mente….sorgono però almeno due dubbi.

– Innanzitutto, cosa intendiamo per educazione?
Forse insegnare una serie di informazioni da conoscere e di regole da rispettare, a suon di premi (voti positivi) e punizioni (voti negativi e note varie)? o forse qualcosa di più?
Da questo punto di vista la questione si amplia e chiama in causa i diversi orientamenti esistenti in merito ai concetti di conoscenza/insegnamento (box) ma anche l’idea di adattamento e di socializzazione, poichè la scuola è la prima realtà sociale che l’individuo incontra dopo la famiglia, e rappresenta una contesto propedeutico ad altri contesti sociali come ad esempio quelli lavorativi. Ed è chiaro che la scuola deve, tra le altre cose, insegnare a stare all’interno di un’organizzazione, fatta anche di RISPETTO per gli altri, oltre che per le regole.
Resta il dubbio riguardo alle modalità più utili ed efficaci in questo senso. Una scelta che non può prescindere dalla valutazione del contesto: il momento storico e culturale, l’età degli studenti, le dinamiche della singola classe, ma anche le caratteristiche del singolo studente.
L’utilizzo di premi/punizioni è stato ampiamente sostenuto dal comportamentismo (come rinforzo positivo e rinforzo negativo) in particolare con gli animali (e ancora oggi viene ben sintetizzato da chi addestra cani) ma non è l’unica via possibile, e non è detto che sia quella più funzionale. Anche se è la più immediata, soprattutto nei casi in cui si è stanchi o addirittura esasperati. E questo può succedere a tutti, sia in ambito familiare che lavorativo. Le “scelte di pancia” possono essere comprensibili, ma non è detto che siano giuste e giustificabili…

– Perchè l’idea di educazione dovrebbe contrapporsi all’idea di promozione del talento?
Anche in questo senso potremmo chiederci cosa intendiamo per Talento, poichè si tratta di un concetto che è stato definito in modi diversi nel tempo.
In ogni caso, qualunque sia la definizione che intendiamo abbracciare, resta il fatto che la promozione del talento rappresenta qualcosa di irrinunciabile in un’ottica educativa. In fondo è qualcosa che ritroviamo nel pensiero di Vygotskij, sia nella sua definizione di Zona di Sviluppo Prossimale, che nella sua idea di scuola che ha il dovere di sostenere tale sviluppo.

Infine, parlando di talento e di bambini o ragazzi con particolari talenti, dato il caso specifico da cui è partita questa riflessione, assume particolare interesse la questione dei Bambini gifted o Bambini ad alto potenziale, tematicha che emerge chiaramente dalle parole di chi col Cern collabora da anni: “Certo, Daniele, non è un ragazzo ordinario. Ancora oggi continuano in tanti a chiedermi di lui”. Perché? “Quella mail mandata a decine di persone, di presentazione, in tutte le lingue, ce la ricordiamo. Un ragazzino così piccolo non può avere chiaramente un curriculum, è uno studente di un liceo, ma quello era uno straordinario documento motivazionale. Si vedeva che aveva una voglia matta di fare questa esperienza, che era tutto quello che voleva. E gliel’hanno fatta fare”. “Era ovunque. Chiedeva di leggere articoli in continuazione, chiedeva cose, era diventato un piccolo caso. Lo mandavi a seguire conferenze in francese chiedendogli sintesi e lui tornava. E non diceva cavolate. E ancora oggi Daniele ci scrive…” (Prof. Gabriella Pugliese, Fisica).

E ancora  una volta la scelta di un approccio comportamentista può apparire fuori luogo poiché inefficace… (al di là della sensazione di paradosso che nasce rileggendo il caso specifico in contrapposizione a tanti altri casi di chi è riuscito a “recuperare” un anno scolastico, facendo riferimento sia al “censimento” del 2004 citato in apertura, sia alle numerose pubblicità che affollano le città dichiarando a caratteri cubitali che è possibile svolgere due anni -o anche tre o quattro- in uno)

Cosa significa EDUCAZIONE?

Le definizioni dei processi di APPRENDIMENTO (e specularmente di INSEGNAMENTO) offerte dalla letteratura specialistica si sono modificate con l’evolversi dei paradigmi culturali (e in parte differiscono dalle percezioni popolari e di senso comune, in parte sembrano coincidere).
E’ possibile sintetizzare l’evoluzione di tali definizioni con alcune metafore:

I. METAFORA DELLA TRASMISSIONE DI CONOSCENZA: in questa ottica (di stampo meccanicistico) la conoscenza viene trasmessa da un “emittente” a un “ricevente”, così come avviene nella trasmissione dell’energia, dell’acqua, delle informazioni trasmessa dalla radio o dal telefono. Questa formula sembra allineata con la psicologia comportamentista per cui quello che si riceve deve essere quanto più possibile simile a quello che si trasmette; le menti sono immaginate come contenitori e se ne desume una concezione della conoscenza alquanto statica.

II. METAFORA DELLA COSTRUZIONE DI CONOSCENZA: fondata sull’idea che la conoscenza non è meramente trasferta da un “luogo” all’altro ma è piuttosto costruita durante l’interazione sia tra le persone, sia con le varie fonti. La conoscenza non è data a priori ma è costruita attivamente e continuamente durante il processo educativo (si tratta di una metafora strettamente legata al paradigma del costruttivismo). La mente non è il luogo dove depositare conoscenza, bensì è uno strumento capace di elaborare e creare conoscenza. Apprendere non significa far somigliare sempre di più il novizio all’esperto, ma implica il fornire al novizio gli strumenti per elaborare un modo personale e originale di essere esperto. Per Piaget (1975) sono le strutture cognitive che permettono di creare conoscenza, mentre per Vygotskij (1962) è l’interazione sociale che consente, grazie all’iniziale imitazione, di interiorizzare successivamente le conoscenze.

III. METAFORA DELLA PARTECIPAZIONE: secondo questa metafora l’apprendimento non è pù conseguenza di un atto cognitivo individuale, ma è determinato piuttosto dalla partecipazione ad attività e pratiche sociali. Questa metafora pone l’accento sugli aspetti sociali dell’apprendimento, sui meccanismi che regolano l’interazione entro gruppi caratterizzati da obiettivi comuni. Si utilizza il termine “acculturazione” per fare riferimento all’imparare a far parte di un gruppo, appropriandosi della sua cultura e al tempo stesso modificandola attraverso la propria partecipazione. Tra gli autori principali citiamo Lave e Wanger (1991).

IV. METAFORA DELLA TRANSAZIONE: ispirata alla dinamica commerciale (per cui ogni transazione commerciale implica non solo un cambiamento in chi compra e chi vende, ma anche un impatto sul mercato, misurabile attraverso una modifica del prezzo di mercato) questa metafora afferma che nel processo di apprendimento, ogni volta che si realizza un’interazione formativa si procura un effetto non solo nelle persone coinvolte ma anche nel contesto in cui agiscono e si muovono gli attori coinvolti in tale processo. Koshmann (1999) considera questa metafora particolarmente utile nello studiare le modalità di apprendimento nei contesti creati dalle tecnologie, analizzando la loro capacità di dare voce a molti partecipanti.

[Ligorio, M. B., & Cacciamani, S. 2013. PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE, Carocci Editore]

Vygotskij e la Zona di Sviluppo Prossimale

Il concetto di Zona di Sviluppo Prossimale  (ZSP) è fondamentale nella visione di Vygotskij ed è definito come la distanza tra lo sviluppo attuale e quello potenziale, collegabile grazie all’aiuto di altri più capaci. Lo sviluppo si configura così come un passaggio da una Zona di Sviluppo Attuale (ovvero la zona delle capacità raggiunte e consolidate ) a una Zona di Sviluppo Prossimale, vicina a quella attuale che già contiene i “semi” delle capacità che sbocceranno nella nuova zona. Le ZSp non sono definite a priori e i cui punti di partenza e di arrivo sono sempre più avanzati grazie all’accumulazione intergenerazionale.
La differenza con la teoria di Piaget è profonda: lo sviluppo non è autodiretto dal bambino stesso, che è capace di passare da una struttura all’altra; è invece eterodiretto dal contesto che deve stimolare, attivare il meccanismo di passaggio da una zona attuale a una prossimale.
Vygotskij mette in primo piano gli aspetti sociali dello sviluppo e dell’apprendimento, e sottolinea l’importanza della relazione con un adulto o un pari più capace, ed è questo aspetto che costituisce la componente sociale. La modalità con cui si struttura tale relazione è definita Scaffolding (letteralmente “impalcatura”).

[Ligorio, M. B., & Cacciamani, S. 2013. PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE, Carocci Editore]