Papà che giocano con le Barbie..

E’ il titolo di una serie di spot lanciati tra gennaio e febbraio sul canale youtube di a uno dei giocattoli per antonomasia. Campagna nata sicuramente in inglese “Dads who play barbie”, esiste anche in altre lingue: “Papa, Barbie et moi”, “Papas que juegan con Barbie”…

E navigando un po’ troviamo che si tratta di una declinazione nuova (focalizzata sulla figura del padre) di un progetto già pubblicato nel 2014 fa con l’hashtag #BarbieProject (dedicato in generale ai genitori).

La pubblicità naturalmente tira l’acqua al suo mulino, e non possiamo dimenticarlo rischiando di lasciarci prendere da facili sentimentalismi, tanto più facili se consideriamo che la casa produttrice ha indetto un concorso invitando le giovani clienti (o i clienti sono i genitori/i padri?!) a partecipare con un proprio filmato (e in palio c’è un premio in denaro).
Però questi spot sono interessanti perchè in ogni caso veicolano un messaggio che si scontra con vari stereotipi.

In particolare, in questi nuovi spot lo scontro corre su un doppio binario.
Innanzitutto – ed è la novità – riguardo alla figura del padre perchè mostrano “un maschio che gioca a Barbie” e, ammettiamolo, la cosa suona un po’ dissonante… ci sembra quasi di sentire queste parole in forma di canzoncina, pronunciate con la vocina antipatica di un bambino che deride un suo coetaneo. E invece no, qui si tratta di padri, e allora è un’altra cosa.
Secondariamente – ma a questo erano già abituate le fan di Barbie – riguardo al tema del cosa faranno da grandi le bambine di oggi, perchè accanto ai mestieri tradizionali, come la maestra o la dottoressa (medico), troviamo il pompiere (e al femminile non sappiamo come declinarlo….forse vigilessa del fuoco?), la paleontologa, l’astronauta… tutto sottolineato dal claim “puoi essere tutto ciò che desideri”.

Ecco, noi adulti sappiamo che spesso il fatto di desiderare una cosa non è sufficiente a far sì che questa si avveri. Ma l’idea che le bambine possano crescere approssimando per eccesso – anzichè per difetto – il numero degli scenari alla loro portata è sicuramente una buona cosa, tanto pià considerando quanto siano ancora radicati gli stereotipi di genere.

Non ne abbiamo parlato nel giorno della festa della donna ma lo facciamo nel giorno della festa del papà… perchè ci sembra che abbia un gusto di speranza…

Di pregiudizio e stereotipi abbiamo già parlato in un altro post (con alcuni box dedicati).

Qui proviamo ad approfondire il tema degli stereotipi di genere.

STEREOTIPI DI GENERE

Una forma particolare di stereotipizzazione può essere riscontrata nelle percezioni delle differenze legate al genere. E se può accadere che alcuni stereotipi culturali possano non essere molto lontani dalla realtà, resta il fatto che rappresentano comunque una generalizzazione e come tale una approssimazione.
Così ad esempio vale per la credenza comune per cui le donne sarebbero più premurose e autoritarie rispetto agli uomini: secondo gli studi di Alice Eagly e colleghi (1995) le donne tendono ad agire in modo più socialmente sensibile, più amichevole e più attento al benessere degli altri, mentre gli uomini tendono a mettere in atto comportamenti più autoritari, orientati al controllo e indipendenti; ma è anche vero che ognuno di noi avrà conosciuto persone che rientrano in questa categorizzazione e altre che non lo fanno.

Ma in molti casi gli stereotipi possono allontanarsi significativamente dalla realtà e quindi essere molto dannosi. Nel 1996, Janet Swim e Lawrence Sanna effettuarono un’attenta analisi di oltre 50 esperimenti condotti negli anni precedenti per studiare un particolare fenomeno di attribuzione che riguardava i successi e gli insuccessi di uomini e donne. Scoprirono una straordinaria coerenza tra gli esiti: se un uomo otteneva un buon risultato in un compito dato, gli osservatori tendevano a spiegare il suo successo in termini di abilità; se invece era una donna a ottenere buoni risultati nello stesso compito, gli osservatori tendevano ad attribuire il suo successo al duro impegno, Se un uomo falliva nello svolgere un compito dato, gli osservatori tendevano ad attribuire l’accaduto a un colpo di sfortuna o allo scarso impego; se invece era una donna a fallire, gli osservatori pensavano che si trattasse di un compito troppo difficile per le sue capacità. E questo fenomeno riguarda anche le bambine che tendono a minimizzare le proprie capacità: mentre i bambini imparano a difendere il proprio ego attribuendo i fallimenti alla sfortuna, le bambine tendono ad attribuirsi la colpa dei propri fallimenti (John Nicholls, 1975) e questa tendenza è maggiore negli ambiti che per tradizione sono tipicamente maschili come, per esempio, la matematica (D. Stipek e H. Gralinski, 1991).
Da dove nascono queste tendenze controproducenti? In linea di principio, quasi sicuramente, sono influenzate dagli atteggiamenti predominanti nella nostra società, ma sono anche e soprattutto condizionate dagli atteggiamenti delle figure più importanti nella vita delle ragazze: i genitori.

[E. Aronson, 2006. L’animale Sociale. Apogeo]                 

Gli esperimenti citati sono un po’ datati ma fanno riferimento a contesti differenti da quello italiano… Speriamo di poter presto arrivare ad affermare (e a dimostrare) che tali fenomeni non si verificano più e che tali stereotipi sono superati…