Meglio aggiungere vita ai giorni o giorni alla vita?

Era la domanda che il professore di Psicologia Clinica poneva a lezione (ispirandosi alle parole e al libro di Rita Levi montalcini) quando parlava di Alzheimer.

Molti in aula ponevano domande a partire dalla propria esperienza, pensando a un parente vicino o lontano: come funzionano i farmaci di ultima generazione? quali sono gli effetti collaterali? Lei li consiglia?

E allora lui rispondeva con un’altra domanda: è meglio aggiungere vita ai giorni o giorni alla vita?

E aggiungeva aneddoti e racconti personali tratti dalla sua esperienza, ma di fatto lasciava che ognuno degli studenti presenti trovasse la sua risposta.

E tutto questo mi è tornato in mente leggendo del primo villaggio per malati di alzheimer sulla rivista online mezzopienonews:

Un villaggio a misura di malati d’Alzheimer e con demenza, nato a Monza per rispondere ai bisogni che nascono dalle conseguenze di una malattia degenerativa che colpisce a livello cognitivo, portando spesso chi ne soffre e i suoi familiari all’isolamento e alla compromissione degli atti di vita quotidiana.
(….)
Un’alternativa di vita che ha come obiettivo la dignità, attraverso un metodo di cura costruito con una metodologia che esce dagli schemi e all’avanguardia. Oltre ad avere al suo interno personale socio-sanitario, è interamente allestito come un vero e proprio paesino in miniatura, dove gli “abitanti” possono vivere in libertà senza i rischi in cui si possono imbattere solitamente questi pazienti; un luogo in cui essi possono così mantenere le proprie abilità residue

Mi pare proprio che questo significhi aggiungere vita ai giorni…

La stesssa notizia la ritroviamo su La Stampa: “Si inaugura a Monza il Villaggio Alzheimer”

approfondendo una notizia del 13/3 “Teatro, negozi e nessun camice: la svolta dei villaggi Alzheimer”

La malattia di Alzheimer

Prende il nome dal medico tedesco che formalmente la identifico nel 1907 (dopo averla descritta per la prima volta nel 1901, narrando i sintomi di una sua paziente, Auguste D.)

La Malattia di Alzheimer è la forma di demenza più diffusa, infatti è causa dei due terzi di tutti i casi: una malattia dal decorso progressivo (Julien, 2008; Herbert et al. 2003), che insorge talvolta nella mezza età, ma che nella maggior parte dei casi si manifesta dopo i 65 anni, e tra la fine dei settanta e gli inizi degli ottanti anni la sua prevalenza aumenta marcatamente.

Sebbene alcune persone affetta dalla malattia di Alzheimer possano vivere anche per 20 anni, il periodo tra la manifestazione della malattia e la morte ha una durata in genere di 8-10 anni (Julien, 2008; Soukup, 2006). Solitamente inizia con lievi problemi di memoria, cali di attenzione e difficoltà nel linguaggio e nella comunicazione (Apostolova, Cummings, 2008). Con il progredire dei sintomi, l’ammalato ha difficoltà nel portare a termine compiti complessi o ricordare impegni importanti e, alla fine, è incapace anche di svolgere compiti semplici, non possiede più i ricordi lontani nel tempo e anche la sua personalità spesso cambia in maniera molto evidente (per esempio, un uomo può diventare insolitamente aggressivo).

E’ possibile che i malati di Alzheimer neghino inizialmente il problema, ma presto diventano ansiosi e depressi per la loro condizione mentale, e appaiono in molti casi anche estremamente agitati.

[R. J. Comer, Psicologia Clinica. Utet 2013. Edizione italiana a cura di Granieri & Rovetto]